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Stai vivendo la vita che vuoi?

La vita non è come dovrebbe essere, è quella che è. È come l’affronti che fa la differenza. 

Virginia Satir

È passato molto tempo dall’ultimo post, ma rieccomi qui. Mi sembra di star vivendo un’altra vita, molto lontana da quella di solo un paio di anni fa. Così ho deciso di raccontare quello che mi è successo e come l’ho affrontato.

Come quando in estate fa troppo caldo e all’improvviso arriva un temporale, tutto è iniziato con qualche folata di vento fresco… qualcuna era un po’ più forte del solito, sì, ma bastava che mi mettessi una sciarpina o una felpa e non sentivo l’aria cambiata, stavo di nuovo bene. Poi le folate sono diventate sempre più forti, e pure schizofreniche, le sentivo arrivare da tutte le direzioni, i capelli mi volavano ovunque, anche sul viso e negli occhi, così li tenevo per lo più chiusi, per proteggermi. Infine, il vento è aumentato fino a diventare un tornado, che ha spazzato via tutto, violento e inesorabile. Senza ritorno.

Chi mi conosce già lo sa, mi sono separata. Dopo oltre 20 anni insieme, dopo aver condiviso eventi importanti, profondi, alcuni felici, altri traumatici. Com’è stato possibile arrivare a questo punto? Questa domanda mi scatena ancora oggi emozioni dolorose, non riesco a capacitarmi di come non siamo riusciti ad affrontare questa crisi. Sia chiaro, mi assumo tutta la mia parte di responsabilità. In ogni separazione, che riguardi una coppia, amici o anche una situazione lavorativa, la responsabilità non è mai da una sola parte. Lo sanno tutti, ma saperlo non rende la cosa più facile da accettare e superare. Anzi.

Ma sono certa che non ti interessa la mia vita privata, tutti conosciamo storie di separazione. È sempre uno scombussolamento, se ci sono figli ancora di più, ma si supera. Quello che voglio condividere è il percorso emotivo che mi ha portato a una vera e propria rinascita.

Il primo periodo mi sembrava di vivere in un mondo surreale, a volte mi sembrava di essere fuori da me e vedermi fare le cose come in un film… è stato strano, ma mi ha aiutato a rendermi conto di una cosa fondamentale: nell’ultimo periodo, per non soffrire, avevo inibito le mie emozioni. Certo, volevo proteggermi dalle emozioni dolorose, ma il cosiddetto shutdown non è selettivo, non è che puoi decidere di evitare solo le emozioni negative… così mi sono persa anche le pur poche occasioni per provare emozioni piacevoli. Ho scoperto anche un’altra cosa importante: il trauma non è sempre l’effetto di un unico evento drammatico, anche situazioni impegnative meno gravi ma ripetute possono creare micro-traumi che lasciano conseguenze, se non vengono elaborati.

E così ho passato un periodo di confusione, a tratti euforica per il senso di liberazione da modalità disfunzionali, a tratti pervasa da un senso di anestesia, come se le cose importanti fossero sparite dalla mia vita. E un po’ è vero, credi in un progetto di vita per 20 anni, i 20 anni centrali della tua vita, ti metti in gioco fino all’ultima cellula, e a un tratto… boom!

Poi è subentrata la sofferenza, una tristezza strisciante con punte di dolore che piegavano in due e scatenavano un pianto inconsolabile, che si esauriva nel sonno portando con sé un senso di vuoto e silenzio. Trovavo sollievo nel fare, perché il corpo è meraviglioso e quando si muove innesca una serie di reazioni chimiche e ti riempie di fantastiche endorfine, che ti fanno stare subito meglio. E non è schizzinoso: le produce sia che tu faccia sport sia che tu faccia le pulizie! Soprattutto, fare cose concrete distrae quella parte della mente che è sempre impegnata in quell’attività di giudizio, critica, dubbio e dietrologia che chiamo “masturbazione mentale”, e lascia spazio alla parte più creativa e pura di noi. E sono molto felice di come questa parte più creativa mi ha aiutato durante il trasloco nella mia nuova casa!

Le emozioni sono onde affascinanti e mi piace moltissimo osservarle, in me e negli altri. Semplificando, sul piano biologico le emozioni sono reazioni chimiche, innescate dal sistema limbico in frazioni di secondo in risposta a uno stimolo, che sia un pensiero, un ricordo, un’immagine, un suono o un odore, reale o mentale. Le emozioni hanno una funzione primordiale essenziale, garantire la sopravvivenza: infatti, a seconda dell’emozione, il corpo si predispone all’attacco o alla fuga, o ancora al congelamento. Nella preistoria l’uomo attaccava la preda o scappava da un predatore più grande, nascondendosi immobile quando il predatore era più veloce di lui. Questi comportamenti si osservano chiaramente negli animali, e l’opossum ha addirittura un’opzione in più: se il predatore scopre dove si è nascosto immobile collassa e si finge morto, rallentando talmente le funzioni vitali ed emettendo un odore putrido per cui la preda si allontana disgustata; dopo qualche minuto, l’opossum si riprende e se ne va come se niente fosse. Ai giorni nostri, queste reazioni hanno preso forme più compatibili con le convenzioni sociali: la preda di oggi è la persona su cui si esercita il potere, che sia una donna, i figli, una persona diversamente qualcosa o un animale, e il predatore attacca per ottenere o difendere il suo status sociale di maschio alfa, e quando non ha il ruolo alfa si rifugia nella timidezza o si nasconde nell’immobilismo e nel silenzio; o diventa insensibile, “come se il cuore fosse congelato, come se si vivesse dietro una parete di vetro” (Bessel van der Kolk). Sono dinamiche che possiamo osservare quotidianamente nelle relazioni, sia al lavoro sia nella sfera privata. È fondamentale saperle gestire (che non significa solo controllare!), per creare relazioni che ci rendano felici e uno stile di vita che ci dia gioia e piacere.

Come si gestiscono le emozioni? Se le lasci venire, le accogli, ti ci abbandoni con consapevolezza, le puoi proprio vedere nel tuo corpo, puoi sentire come entrano, come si muovono, e come se ne vanno. Sì, perché le emozioni sono come delle onde, che montano, montano, ti travolgono (più o meno) e poi si infrangono e si ritirano. Soprattutto, quando ti permetti di sentire un’emozione negativa con consapevolezza, il corpo apprende una cosa importante: che noi non siamo quell’emozione, non siamo i pensieri connessi a quell’emozione, siamo molto, molto di più. Che l’emozione negativa fa parte del pacchetto della vita, ma che il pacchetto comprende anche molto altro. E così ho osservato che la sensazione di dolore che si esprime nel pianto poi lascia spazio al vuoto, e nel vuoto c’è il silenzio, e nel silenzio c’è pace. Nella pace ho trovato me stessa, anima pura, bambina, donna adulta, con tutte le mie qualità e anche i miei lati più fragili. Dalla pace posso ricominciare ad amarmi, e a creare.

Oggi sto bene, e ho iniziato a rimettere insieme i pezzi. Dare un senso a quello che è successo è un processo lungo e profondo, ma lo sento prezioso e fondamentale per ricominciare senza zavorre, leggera.

Ed è molto diverso pensare al futuro, a questo punto… anche se nessuno può sapere cosa ci riserva il futuro, quando hai una famiglia ti fai un’idea di come andrà, hai un sacco di esempi intorno a te, e la società propone i suoi modelli. Più o meno ti immagini che i figli cresceranno e lasceranno il nido, e che tu e tuo marito invecchierete insieme, facendo le cose che vi piacciono, magari viaggiare insieme con la tenerezza dell’amore maturo, come la coppia canadese che è seduta davanti a me in treno, mentre sto andando a Viareggio per lavoro.

Ora, il mio futuro lo immagino come una pagina completamente bianca del mio diario, e sento le mie dita abbracciare la penna con entusiasmo per scriverci quello che desidero… intanto ho disegnato un diamante, il mio, e voglio che brilli per il resto della mia vita.

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